Al Petruzzelli va in scena la commedia di Lottomatica

ludopatia

Solo a Bari, nel 2015, in una città tormentata dall’oltre 35% di disoccupazione (dati Istat), “l’industria del gioco d’azzardo” ha fatturato più di un miliardo di euro. Un miliardo di euro sprecato da decine di migliaia di baresi, spesso economicamente già in difficoltà, che hanno tentato la fortuna. Vanamente. Perché, come rivelano i matematici con lo studio sulle probabilità, le possibilità di vincere a gratta e vinci o a slot machine è inferiore al 1,5%.
 
E da chi sono gestiti o creati alcuni di questi originali “servizi ricreativi” che producono solo ludopatia e indebitamento e, quindi, povertà economica e sociale? Da Lottomatica.
 
Il Comune di Bari, dopo più di due anni e fino a prova contraria, non ha ancora ottemperato al dovere di dotarsi di un Regolamento Comunale per disciplinare rigorosamente l’apertura di centri scommesse e agenzie, sulla base di quanto previsto dalla Legge Regionale 43/2013. Il Comune di Bari, fino a prova contraria, non ha ancora messo in campo una strategia per contrastare efficacemente questa grave patologia sociale e morale, che non colpisce solo donne e uomini, ma sempre più spesso bambini e adolescenti.
 
Si dice sempre che la politica è in crisi perché non è capace di dare il buon esempio ai cittadini, in nome dei quali si dice di governare le Istituzioni.
 
Era proprio necessario, perciò, sulla base di quanto si legge oggi su alcuni quotidiani locali, consentire ad una azienda come Lottomatica di farsi promotrice di una simile iniziativa? E’ lecito chiedere che nella nostra città non vengano messe in scene grottesche “commedie dell’azzardo e dell’assurdo” di questo tipo? E, infine, non ritenendo che Lottomatica faccia beneficenza, quali sono gli accordi tra l’agenzia e il Comune di Bari e la Fondazione Petruzzelli? E’ un azzardo chiedere un minimo di trasparenza e chiarezza?

More urban greening, less illegality

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Quel che ho sempre pensato e sostenuto in questi anni, con mio grande piacere, ora trova una conferma autorevole. Secondo la britannica rivista scientifica “Bioscience”, infatti, all’aumento nelle città di aree verdi attrezzate e di alberi corrisponde una riduzione dei comportamenti antisociali e illegali.

Il “verde”, quindi, come è ormai noto, non produce benefici solo ambientali, per esempio contro il cambiamento climatico; ma anche sociali, andando a modificare positivamente la percezione della realtà. Creando e corroborando, in pratica, per ciascuno di noi una potenziale empatia tra la natura interiore e quella esteriore.

Quando “papà” Stato toglie i figli a “mamma” Mafia

criminalità minorile

In questi giorni si fa un gran parlare di “famiglia“, con i convergenti sistemi dell’informazione e della politica impegnati a ripristinare un medioevo delle coscienze, attraverso la severa riproposizione del modello pro-contro qualcosa, per una anacronistica suddivisione della società in guelfi e ghibellini e una a-scientifica diluizione della complessità contemporanea.

E, nonostante questo confuso chiacchiericcio mediatico, già da qualche tempo nei miei pensieri c’è un altro modello di “famiglia”: quella mafiosa.

L’occasione per elaborare un pensiero più articolato ed organizzato, in particolare, dopo disordinate e varie riflessioni accumalatesi nei mesi precedenti, fu la (mia) presentazione – lo scorso dieci dicembre a Valenzano – del volume “Fratelli monelli. Alle radici della criminalità minorile“, poi successivamente recensito per Epolis Bari, della stagista al Tribunale dei Minorenni di Bari Emanuela Lovreglio.

Nessuno dia per persi i piccoli criminali baresi

In quell’occasione, l’aspirante magistrata sottolineò, con rigore e chiarezza, che nessuno nasce delinquente. I bambini e gli adolescenti lo diventano, semmai, per una pluralità di ragioni. Alcune delle quali risiedono, probabilmente, nel modus vivendi della famiglia nella quale si nasce. Prima ancora di un disagio economico, socio-culturale o ambientale, infatti, ci potrebbe essere un pesante e condizionante degrado domestico che andrebbe esplorato e analizzato. E, successivamente, affrontato. Nelle famiglie mafiose, quelle ‘ndranghetiste specificatamente, la trasmissione dei codici d’onore, del resto, avviene prestissimo. Perché quella stessa organizzazione criminale è fondata, culturalmente e socialmente, sul modello della famiglia. Aspetto che, per anni, a differenza di cosa è successo con la mafia siciliana e la camorra napoletana, ha prodotto un numero irrisorio di collaboratori di giustizia. E chi, per esempio, come la testimone di giustizia Lea Garofalo ha, addirittura, avuto il coraggio di sfidare, per amore di sua figlia Denise, il suo stesso nucleo familiare, ha pagato con la vita la sua scelta.

Eppure oggi, proprio da una regione con tanti problemi come la Calabria e nella quale, forse più che altrove, è ancora vigente l’idea che le donne debbano sottostare e ubbidire come animali a uomini il cui unico vocabolario è quello della violenza e della prepotenza, germogliano semi di speranza. E a seminarli sono proprio le donne. Per amore dei figli.

Da qualche anno, con il loro aiuto e per la prima volta in Italia, il Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria ha scelto di sottrarre i minorenni ai genitori mafiosi. “L’obiettivo è interrompere la trasmissione culturale”, dice Roberto Di Bella, Presidente di quel Tribunale. L’obiettivo deve essere quello di rompere i muri dell’omertà e della complicità. Per aprire nuove strade per l’avvenire a generazioni in grado di scegliere autonomamente quale futuro vivere, nella possibilità di coltivare i propri talenti e realizzare i propri sogni.

E in questa guerra, che non si può combattere da soli se si vuole vincerla – come ci racconta la giornalista Serena Uccello, autrice di “Generazione Rosarno” – la scuola diventa un presidio di legalità e di comunità importante. La scuola come laboratorio di speranza e di rinascita nel quale diffondere “una pedagogia del bene“.

“E, quando funziona, la scuola diventa il volano principale di questa trasformazione positiva, strumento straordinario d’integrazione oltre che di cultura. Non è un caso che la ‘ndrangheta tema la scuola quasi al pari della magistratura. E che abbia paura che la sua forza d’attrazione diventi più forte e dirompente di quella della famiglia. Un’offensiva pacifica che può far passare il messaggio che non esiste una predestinazione al male, ma che ognuno ha, in se stesso, la capacità per ribaltare il proprio destino”.

Principi di ribellione che, in un Mezzogiorno trascurato dalle Istituzioni nazionali e spesso fin troppo sfiduciato per la carenza di opportunità di autodeterminarsi, infondono fiducia e ottimismo. In un Sud che, secondo Save the Children, accoglie quasi il 90% degli oltre 500mila bambini che vivono in un comune commissariato per mafia negli ultimi 17 anni, con 65 Amministrazioni Comunali sciolte per infiltrazione mafiosa dal 2010.

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Atlante dell’Infanzia 2015

A Bari, infine, se dovessimo valutare solo gli ultimi avvenimenti e le parole del Questore, avremmo di cosa preoccuparci, e molto. E, certamente, occorre restare vigili per evitare che certi episodi si reiterino. Ma, proprio come ha detto lo stesso Questore in altre occasioni, e come lui anche l’amico sociologo Leo Palmisano, non può bastare la soppressione giudiziaria. Occorre sradicare la malapianta dell’illegalità e debellare la malaria della mafiosità attraverso interventi di rigenerazione sociale e di coscientizzazione culturale, per non perdere definitivamente altri giovani. Occorrerebbe un “Piano Urbanistico della Legalità” che metta al centro, dalle periferie, il diritto di chiunque a vivere in contesti eticamente salubri. Ha ragione, perciò, Gianni Spinelli quando scrive, nell’editoriale odierno sul Corriere del Mezzogiorno con il quale idealmente si collega alle tesi di Emanuela Lovreglio, che “Bari è bellissima, non può diventare Far West“. Tocca a ciascuno di noi difenderla e valorizzarla, ogni giorno.

Perché aderisco ai Comuni Virtuosi

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L’associazione nazionale dei “Comuni Virtuosi” è,  da circa un decennio, una delle cose più belle di questo Paese. In quella che, forse troppo severamente, da alcuni è ormai ribattezzata “Repubblica mafiosa” fondata sulla corruzione che ha sgretolato l’idealismo e il pragmatismo della Costituzione, i promotori di questa organizzazione – tenacemente, appassionatamente, instancabilmente, responsabilmente – tutti i giorni operano per riqualificare quell’immenso patrimonio sociale e culturale oggi degradato rappresentato con i propri valori morali dalle nostre città per restituire ai veri sovrani di questo Paese – i cittadini – il loro diritto a vivere, a crescere e a sognare in una Repubblica “virtuosa”.

Un’impresa apparentemente irrealizzabile in un Paese da decenni paralizzato dall’avversione per il cambiamento, consumato dalla sfiducia per il prossimo e stravolto dalla paura. Paura di sorridere, paura di sognare, paura di meravigliarsi, paura di risvegliarsi dal coma dell’individualismo egoistico. E, quindi, più si sente urlare che “la politica fa schifo”, che “sono tutti ladri”, che “destra e sinistra ormai non esistono più”, più loro – i sempre più numerosi amministratori locali che entrano a far parte di questa rete solidale e che credono in un modello politico organizzato dal basso sulla cooperazione  – testimoniano che la politica è un “bene comune”. Praticandola, ciascuno con una propria sensibilità ma quasi con pari gentilezza e rifiutando l’assunto baumaniano per il quale “la moralità è una merce”, secondo un’unica, condivisa, “ideologia”: la politica come strumento per la costruzione di una visione della società inclusiva e accogliente, moderna ed innovativa, ecologica e giusta. Per quel bisogno incomprimibile di tutti di essere felici. Per quel desiderio di rimettere in circolo la bellezza.

Non dividendosi e perdendosi in pretestuose e sterili polemiche, sono l’esempio più luminoso che in questo Paese le cose possono cambiare e che il cambiamento è possibile soltanto se costruito ogni giorno insieme a chi ha gli stessi “pragmatici ideali”. In questi anni, sul loro sito diventato un utilissimo “quotidiano” per i tanti bisognosi di un’informazione ecologica di qualità ed onesta, sono state centinaia le notizie sui rifiuti e le metodologie di raccolta differenziata porta a porta, sull’illuminazione, sulla mobilità, sul territorio e sugli stili di vita. Decine le iniziative di formazione, con la “Scuola di Alt(r)a Amministrazione” (una anche a Bari, sui rifiuti, nel novembre del 2014) nella convinzione e con la consapevolezza che l’esempio sia contagioso.

Questa storia meravigliosa, per quanto scritta da centinaia di persone, non sarebbe iniziata se non ci fosse stato a ispirarla, e ad allevarla in questi anni come un figlio, una persona straordinaria – per cultura, per sensibilità, per passione civile e per coraggio – come Marco Boschini. E’ anche per lui se, con immenso piacere e gratitudine, ho deciso di aderire all’associazione dei Comuni Virtuosi (questo il link per chi volesse diventare socio dei comuni virtuosi).

Con entusiasmo e gratitudine, aderisco all’associazione dei Comuni Virtuosi.

Con gratitudine perché questa comunità, di amministratori e di cittadini per i quali la politica è un servizio e “la forma più alta di carità”, pur nella sua eterogeneità culturale, rifiuta la polemica e sperimenta la pratica. Con gentilezza, leggerezza, fermezza. Saldando la tradizione con l’innovazione. Proponendosi di ricreare insieme un’identità sociale inclusiva ed accogliente, per la quale il nostro Paese è “un bene comune” che ci appartiene. Ogni giorno, pertanto, “seminano la speranza, per raccogliere il cambiamento”.

Con entusiasmo perché, da persona appassionata e motivata, mi piacerebbe, con gli amici dei Comuni Virtuosi, come diceva il per me indimenticato Alex Langer, “continuare in ciò che è giusto”.

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Sulla “liberazione” di Savinuccio Parisi

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“La vera forza della mafia sta fuori dalla mafia” – scrive Nando Dalla Chiesa ne “Il Manifesto dell’Antimafia” – ossia risiede in quell’ampio e diffuso sistema di complicità, di contiguità e di omertà che l’alimenta. In quell’alleanza camaleontica e subdola tra la “zona grigia” e la “pars destruens” della società che destrutturano il modello circolare della legalità per erigere l’idolatria e il modello verticale dell'”altro-potere”. E’ nella sua cultura, la cosiddetta mafiosità, per la quale occorre chiedere – a chi riteniamo detenga anche una minuscola fetta di potere o di influenza – “come favore ciò che ci spetterebbe come diritto”. E’ nell’essere – come ha detto Don Ciotti alla Marcia Nazionale della Pace a Molfetta il 31 dicembre scorso – “cittadini ad intermittenza incapaci di praticare la corresponsabilità” perché diffidiamo della prossimità e rifiutiamo la solidarietà.

E, quindi, non riconoscendo più la pericolosità sociale del fenomeno, che gradualmente ci sta modificando antropologicamente, non lo capiamo. E lo sottovalutiamo. Ma in questo modo, inconsapevolmente, ne diventiamo schiavi. Per questo, forse, più della pur preoccupante “liberazione” di Savinuccio Parisi, dovrebbe preoccuparci la nostra individuale incapacità di conversione morale e di reazione davanti allo strapotere culturale e sociale delle mafie. Dovrebbe allarmarci la nostra inazione davanti alla nostra sottomissione. Dovremmo armarci di un nuovo onesto e pragmatico civismo per uscire dal campo minato della paura a causa della quale non potrà mai esserci un cambiamento nel nostro Paese.

Se oggi le mafie sono ancora fortissime, infatti, è perché noi siamo fragilissimi e debolissimi. Il loro è un dominio, prima ancora che politico-economico, estetico-etico.

Il problema, pertanto, non è il folkloristico spettacolo pirotecnico con il quale ieri è stato festeggiato in alcuni quartieri il ritorno a casa del superboss barese. E’ nei commercianti, negli artigiani e negli imprenditori che pagano il pizzo e non denunciano. E’ nei giornalisti (a parte pochissime eccezioni) e nei direttori di testate che hanno scelto deliberatamente di non occuparsi di mafia. E’ nei politici locali che prima chiedono i voti ai malavitosi di alcuni quartieri difficili come il Libertà e poi marciano con Libera. E’ nella classe dirigente autoreferenziale e corrotta di questa città che vive per il potere. E’ in noi e nella nostra ipocrisia. E’ nella nostra distopia di collaborare per creare una città più uguale e giusta, più onesta e inclusiva, più accogliente e civile.

Fino a quando in questa Bari ci saranno questi baresi, Savinuccio Parisi ne sarà, suo malgrado, il vero “Sindaco”.

Amministrative 2014: quali priorità per il prossimo Sindaco?

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Poco prima della pausa estiva, il bravo vicedirettore del Corriere del Mezzogiorno, con questo editoriale, ha avviato il dibattito, non credo concluso, sul futuro della città, a un anno dalle elezioni amministrative. Con l’intento di stimolare, soprattutto, la generazione dei 30enni e dei 40enni. Nei giorni immediatamente successivi, la testata locale ha ospitato una pluralità di contributi, molti dei quali anche particolarmente brillanti. Ricordo gli interventi di Pierpaolo Treglia, Vitandrea Marzano, Lino Viola e Francesco De Palo. A causa dei miei impegni, purtroppo, non ho scritto in tempo utile per la pubblicazione – prima dell’interruzione estiva – le mie riflessioni che, pertanto, pubblico attraverso questo blog.

I cittadini di Bari vogliono bene alla propria città? I cittadini di Bari sono consapevoli di che cosa voglia dire, all’alba del terzo millennio, vivere in una città? Sono domande probabilmente e apparentemente banali, ma è dalla risposta a questi interrogativi che può nascere il progetto di città del futuro. Perché di progetto, e non soltanto di mirabili idee fuse in una visione, si dovrebbe parlare. Se Bari è mal amministrata, è solo colpa degli eletti? Se Bari è sporca, è solo colpa di amministratori poco coraggiosi o attenti? Se Bari, negli ultimi 10 anni, ha subito una cementificazione come mai nei 20 anni precedenti, è solo per la “miopia” di chi si è fatto dettare l’agenda dagli imprenditori? Se a Bari la criminalità organizzata ha ripreso a far paura con sparatorie ed estorsioni, la colpa è solo dei nostri “dipendenti statali” che perorano principalmente la tesi della necessità di disporre di più poliziotti e magistrati?

Sindaco, assessori, consiglieri (di tutti gli schieramenti) e dirigenti comunali dovrebbero fare di più e meglio il proprio dovere. Ma a Bari, duole dirlo, si sente la mancanza dei Cittadini. Lo sono quelli che, come paladini della propria città, la difendono, la rispettano e contribuiscono al suo progresso sociale. Sono cittadini quelli che non si rivolgono al politico di turno per ottenere un posto di lavoro, ma quelli che al politico di turno chiedono impegno per creare opportunità di impiego per tutti. Sono cittadini quelli che non vendono il proprio voto per pochi euro tanto “fanno tutti schifo e sono tutti uguali”, ma quelli che sono pronti a trasformare la propria indignazione in una nuova passione civica rinvigorita dalla partecipazione di quanti vivono lo stesso smarrimento. Sono cittadini quelli che non puntano, perché narcotizzati e affascinati da un potere immorale e a tratti criminale, a emulare i vizi degli “eroi” che stanno annichilendo il Paese, ma quelli che dopo 20 anni di berlusconismo di destra e di sinistra insistono nell’esigere dai propri rappresentanti atteggiamenti improntati alla responsabilità, alla moralità e all’onestà.

La politica è uno dei più grandi atti d’amore e di carità che può connaturare una comunità. Quando la politica non pratica la solidarietà e non esalta l’umanità dei cittadini non è Politica. Quando la politica non sa chiedere scusa per i propri errori e si trincera in linguaggi poco chiari non è Politica. Oggi “l’antipolitica” domina le Istituzioni non perché sono in esse entrate le 5 Stelle di Grillo, ma perché da esse è uscito un intero firmamento di valori e di competenze. Più che di rivoluzione, pertanto, bisognerebbe parlare – come suggerisce nei suoi scritti Guido Viale – di “conversione”. Conversione etica, culturale, sociale, ambientale. Se ciascuno di noi bonificasse il proprio “habitat interiore” (per dirla alla Bergonzoni) più facilmente godrebbe di un migliore habitat esteriore. La bellezza, infatti, non si evoca. Si costruisce, ogni giorno. Nel rispetto delle regole e delle persone.

“Segui i soldi e capisci gli interessi dei mafiosi”, ripeteva spesso Giovanni Falcone. Dopo 21 anni le cose non sono tanto cambiate, anzi. Ma l’analogia è utile perché la Bari del futuro nascerà anche dal nuovo Piano Urbanistico che la prossima Amministrazione varerà definitivamente. Si parla di milioni di metri cubi di nuovo cemento che rischiano di devastare paesaggisticamente questa città. Si parla di investimenti pari al miliardo di euro. Ecco perché il prossimo Sindaco non può essere una persona qualsiasi.

Deve essere capace, in discontinuità totale con il modello vigente, di fermare il consumo di suolo; di imporre un’edilizia ecocompatibile basata sulla rigenerazione del costruito, sulla valorizzazione del patrimonio inutilizzato, sulla demolizione delle strutture obsolescenti con ricostruzione secondo i dettami della bioclimatica e bioarchitettura. Deve essere capace di restituire dignità agli spazi verdi e pubblici oggi degradati. Deve essere capace di puntare sull’agricoltura sociale.

Deve essere capace di creare un mercato legale dai rifiuti, dal riciclo dei quali possono nascere progetti occupazionali innovativi. Deve essere capace di rendere la città inclusiva per tutti quelli che in questi anni sono stati abbandonati dalla politica (bambini, anziani, cittadini delle periferie, cittadini stranieri, senza fissa dimora) e attrattiva da un punto di vista turistico e culturale (mai più una città senza Assessore alla Cultura!).

Bari deve puntare ad essere un “comune virtuoso” nel quale le diverse povertà e disuguaglianze sociali siano contrastate con la cooperazione di tutte le dinamiche realtà del Terzo Settore. Bari può rilanciarsi, perciò, soltanto se si trasforma in una “comunità dell’empatia” (parafrasando Rifkin) nella quale amministratori e cittadini corresponsabilmente e in modo continuo decidono di confrontarsi per risolverne i problemi. Con i primi interessati a raccogliere e a realizzare le suggestioni dei secondi in nome di una visione orientata non alle successive elezioni, ma generazioni.

Bari può sognare un avvenire diverso soltanto se i cittadini sapranno essere mulini a vento in grado di liberare l’energia del cambiamento atteso.

E se il cemento fosse ecologico?

E’ questa, forse, una delle domande più ricorrenti che non pochi ricercatori, dal Messico all’Inghilterra passando per l’Italia, si pongono da tempo con l’intento di ecologizzare il cemento che contribuisce a circa il 7-8% delle emissioni mondiali di CO2 con un notevole dispendio energetico per produrlo.

I ricercatori messicani del Centro di ricerca e studi avanzati dell’Istituto Politecnico Nazionale stanno concentrando i loro studi sui geopolimeri, ossia su materiali sintetici a base di alluminosilicati. Obiettivo dichiarato: ottenere un calcestruzzo sostenibile con minore energia e con la conseguente riduzione di anidride carbonica immessa in atmosfera.

Neomix, invece, è il nome del nuovo legante idraulico prodotto, secondo i suoi brevettatori, con il 90% in meno di energia rispetto al materiale tradizionale e sarebbe in grado di fornire alte prestazioni grazie alla miscela di fosfati di cui è composto.

Procedendo in questo ideale tour mondiale alla scoperta dei “cementi del futuro”, ci imbattiamo in Ecorivestimento. Questa malta fotocatalitica a base di biossido di titanio, in grado di abbattere i livelli di inquinamento atmosferico, ha la capacità, in presenza di luce sia naturale sia artificiale, di ossidare sostanze organiche e inorganiche scomponendole per poi trasformarle in nitrati e carbonati. Un’applicazione notevole, per questo materiale, sarebbe di impiegarlo come asfalto. Ne otteremmo benefici importanti.

Uno studio ingegneristico del Texas ha condotto una ricerca sul riso, traendone interessanti conclusioni.  La lolla, o pula di riso, cioè quella pellicola che ricopre i chicchi quando sono sulla pianta, è ricca di ossido di silicio, elemento fondamentale nella composizione del calcestruzzo. Questi ricercatori hanno elaborato un processo di combustione in grado di dar luogo ad una pula di riso priva di carbonio. Dalla lolla, dopo una cottura ad 800°C in fornaci prive di ossigeno, si ricava un miscuglio che è praticamente silicio puro. Con il non trascurabile beneficio che questo materiale sostenibile resisterebbe a corrosione, rispetto al cemento Portland, molto meglio.

Il grigiore del cemento, sempre più spesso, è assunto anche come parametro per raccontare quanto poco vivibili e luminose siano le nostre città. E se un giorno scoprissimo che esiste un cemento luminoso e trasparente, il nostro approccio verso questo materiale cambierebbe? In attesa di valutare, eventualmente, le nostre reazioni sensoriali, quel che ad oggi possiamo fare è leggere, con curiosità, le peculiarità di questo materiale innovativo. Il cemento luminoso, infatti, esiste. Trattasi di un materiale massivo che si smaterializza lasciandosi attraversare dalla luce, sia diurna sia artificiale, in tutte le ore del giorno, proponendo un senso di leggerezza ed assicurando uno scenario suggestivo di luci e ombre. Rispetto alle malte tradizionali, l’effetto luminoso è ottenuto con particolari additivi e resine che hanno il beneficio di rendere maggiormente coibentati termicamente gli ambienti nei quali il materiale è impiegato con l’ulteriore conseguenza di avere minori consumi di energia elettrica, venendo valorizzata al massimo l’illuminazione naturale.

Anche la Regione Puglia, unica in Italia, con mio sommo stupore e piacere, partecipa a questa “competizione mondiale” ecologica-innovativa. Ha finanziato, infatti, un progetto di ricerca dal titolo “Impiego di particelle di gomma e fibre d’acciaio provenienti da pneumatici fuori uso in conglomerati cementizi” sviluppato dall’Università del Salento in collaborazione con aziende locali. Le particelle di gomma riciclata e fibre d’acciaio, ricavate attraverso processi di triturazione, pirolisi e riduzione criogenica,  consentono di ridurre l’assorbimento di acqua conferendo una migliore protezione alle barra di armatura nei confronti della corrosione; di ottenere un abbattimento del rumore ed una migliore prestazione in termini di resistenza al fuoco. I risultati ottenuti dalle indagini sperimentali condotte hanno evidenziato le potenzialità di applicazione sia delle particelle di gomma sia delle fibre riciclate nel confezionamento di conglomerati cementizi, suggerendo l’opportunità di ulteriori studi sia teorici sia sperimentali allo scopo di ottimizzarne e regolarne l’impiego.

Questa ideale passeggiata tra cantieri edili alla scoperta del “cemento del futuro” si arricchisce di due esperienze ulteriori, anch’esse degne di essere raccontate. La prima. Cosa succede oggi, tradizionalmente, quando si aprono delle micro o macro fessure nel calcestruzzo? Si provvede a riempirle con dosi proporzionali di malta. Questa pratica, tra qualche tempo, potrebbe estinguersi: un team di scienziati inglesi, infatti, sta sperimentando l’efficacia di alcuni selezionati batteri in grado di riparare in maniera autonoma le grandi crepe, con questo calcestruzzo autorigenerante prodotto con l’aggiunta di batteri allo stato “dormiente” racchiusi in microcapsule che, nel caso in cui si inizi a formare una microfessura, possono liberare istantaneamente un riempimento calcareo resistente.

La seconda, infine, ci porta in Calabria, una delle regioni più difficili del Paese. E questa storia incredibile ce l’ha raccontata Riccardo Luna, qualche giorno fa, su Repubblica. Due fratelli che decidono di sfidare il mondo dell’edilizia producendo la malta a basso costo e secondo un modello “domestico”, attraverso un’apparecchiatura leggera e tascabile.

Credo che guardare il mondo, e provare a viverlo, sia meno pesante quando ci sono queste pratiche virtuose che infondono maggior fiducia per un avvenire meno energivoro e più a misura d’uomo.

Contro la corruzione, ci metto la faccia..

Ho aderito ufficialmente alla campagna contro la corruzione, “Riparte il Futuro“, promossa da Libera e da Gruppo Abele, con l’intento di arrivare all’approvazione definitiva di una legge – oggi approvata dalla Camera (qui il commento di Don Ciotti) – orientata a sanzionare duramente il voto di scambio e la corruzione (tema sul quale ho molto scritto su questo piccolo blog).

La corruzione, secondo alcune stime, vale oggi nel nostro Paese 60 miliardi di euro circa.

Bisogna contrastarla, pertanto, non soltanto per un fatto meramente ma fondamentalmente economico, ma anche per un fatto etico e perché attraverso un contrasto efficace la politica può risarcire i cittadini per la sua inefficienza cronica restituendo, contestualmente, un pò di fiducia nelle Istituzioni.

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Renzo Piano nominato senatore a vita

Questa è una splendida notizia. Con nomina odierna del Presidente della Repubblica Napolitano, l’architetto italiano Renzo Piano, tra i più famosi al mondo, per alti meriti civili e sociali maturati, è diventato senatore a vita. Hanno ricevuto la stessa gravosa onorificenza anche il direttore d’orchestra Claudio Abbado, il fisico Carlo Rubbia e la ricercatrice scientifica Elena Cattaneo.

Sono molto contento, senza nulla togliere agli ultimi tre, per la scelta dell’architetto Piano. Non solo perché è stata riconosciuta l’importanza dell’architettura e dell’urbanistica “sostenibile” in un tempo nel quale queste scienze sono molto trascurate, oltre ad essere vicine alla mia sensibilità e cultura, ma anche perché i progetti del professionista genovese, che piacciano o meno (e ce ne sono alcuni che non mi hanno suscitato entusiasmo), non sono mai banali e da ciascuno è possibile trarre degli elementi di novità. L’architettura come maestra di vita e come arte che possa scatenare processi cognitivi fondati sulla curiosità e sulla voglia di magnificare la propria immaginazione per descrivere una realtà in continua evoluzione.

L’ultimo progetto italiano di Renzo Piano è a Trento: nuovo Museo delle Scienze e nuovo quartiere eco-sostenibile. Poi, non potendoli citare tutti, ricordo i più recenti che si sono distinti per il loro carattere ecologico, quale l’Auditorium realizzato all’Aquila colpita dal terremoto, il nuovo “grattacielo di Torino“, il Centro Culturale di Atene, il green roof of the California Academy of Science.

P.s. Mi sono limitato, volutamente, a queste considerazioni, evitando quelle che si avrebbero a seguito di commenti simili, semplicemente perché ritengo, in tale circostanza, evidenziare l’aspetto positivo di siffatte nomine.

P.s.1. Bellissima intervista a Renzo Piano e a Claudio Abbado, di Stefano Boeri.

P.s.2. L’amaca quotidiana di Michele Serra.

La politica teme il talento perché il talento ti regala la libertà e la forza per ribellarti.

Ma a Bari comanda la mafia o lo Stato?

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La risposta, almeno a questa domanda, dopo l’agguato mafioso di ieri sera a Poggiofranco – in questa apparentemente interminabile faida tra le famiglie criminali locali – sembrerebbe ovvia. E probabilmente sbaglio ad usare il condizionale. Mi pongo, tuttavia, un’altra domanda. La stessa avanzata dal Candidato Sindaco di Bari Pietro Petruzzelli, dopo l’agguato mafioso di ieri sera nel quale è morto lo storico boss di San Girolamo. “Quale Bari consegniamo alle più giovani generazioni?”

Non so quale possa essere la risposta migliore, onestamente. Anche perché, in momenti simili, sono un frullatore di pensieri. So solo una cosa, che può anche essere sbagliata. Ma la condivido, nonostante tutto, con tutto l’amore del mondo per la mia città e per i miei concittadini.

Finiamola di dire e di pensare che possiamo stare tranquilli “finché si ammazzano tra di loro”. O di indignarci soltanto contro il Sindaco X o il Ministro Y che fanno meno di quel che ci aspetteremmo. Noi cittadini abbiamo una responsabilità sociale immensa. Non possiamo continuare a dividerci come guelfi e ghibellini sulla base, sempre più spesso, di un fanatismo politico-religioso che ci obnubila la vista. Non nascondiamoci dietro uno slogan che poi diventa l’alibi perfetto per restare succubi e schiavi della paura. Finiamola di essere un popolo di pre-giudicati silenziosi, giudicando superficialmente la realtà mafiosa senza studiare e conoscerne le dinamiche. Bari rischia di diventare un hub di una rete internazionale del malaffare che unisce la mafia dell’est europa con la camorra e la ‘ndrangheta.

Nell’ultimo anno e mezzo circa ci sono state più di 15 sparatorie, tra il Libertà, il Madonnella, San Girolamo, Palese, Santo Spirito, San Pasquale e Carrassi.  Sono morte una decina di persone, tra le quali Alessandro Marzio, Massimo Villoni, Gaetano Petrone, il georgiano Rezo, Giacomo Caracciolese, Vitantonio Fiore, Felice Campanale. Con il sangue, spesso di giovanissime vittime, si sta disegnando la nuova mappa del crimine di Bari. E mi sto limitando ai perimetri geografici della mia comunità, poiché se allargassi la panoramica agli eventi mafiosi che stanno sventrando l’anima di alcuni comuni della Provincia il bilancio sarebbe ben peggiore.

I clan baresi rinforzati dall’immissione delle nuove leve criminali, hanno esteso, allo scopo di accrescere gli introiti illeciti, i settori di interesse: accanto alle tradizionali attività illecite (stupefacenti, estorsioni, usura e ricettazione) non disdegnano altre tipologie di reato cercando contestualmente di infiltrarsi nel tessuto economico-legale oltre che nei finanziamenti e negli appalti della Pubblica amministrazione. Lo sbandamento di alcuni sodalizi, privati dei capi e falcidiati da arresti, da passaggi ad altri clan e da defezioni per scelte collaborative con la giustizia, ha consentito, da un lato, il rafforzamento di taluni gruppi criminali e, dall’altro, l’emersione di nuovi soggetti e nuove organizzazioni: il risultato è una vorticosa ricerca di supremazia, intessuta di attentati e omicidi e perseguita attraverso ogni mezzo: quando il potere delinquenziale passa da mani forti a mani deboli si spara di più sul territorio. I clan, non più nel pieno della loro forza, non riescono a mantenere il dominio senza manifestazioni eclatanti di violenza.

Questo frammento, tratto da questo articolo, è estratto da una relazione predisposta dalla Direzione Nazionale Antimafia che evidenzia quanto delicata e grave sia la situazione. E rispetto alla quale è necessario che i cittadini facciano essenzialmente una scelta: o con i mafiosi o contro. Se decidiamo di esserne complici, allora possiamo continuare ad essere spettatori del più grande big bang etico che sta facendo esplodere il nostro Paese. E che sta facendo precipitare Bari verso l’inferno degli anni ’90.

Ma se decidiamo di opporci a questo regime, sostenuto anche trasversalmente dalla politica, non si può neanche continuare a conviverci con questi infami senza anima e senza dignità. Proprio in quest’ottica, pertanto, muovendo dalla ferma convinzione che il contrasto alla criminalità organizzata debba essere soprattutto di stampo culturale organizzando la società in modo tale da farle riscoprire – a cominciare dalle scuole e con l’aiuto delle famiglie – la bellezza del bene comune, bisogna rifiutare l’assioma secondo cui va tutto bene “finché si ammazzano tra di loro”.

Quando la città è spaccata e i cittadini sono soggiogati dalla paura o dalla rassegnazione, la mafia sorride. E’ contenta. Gode della nostra incapacità di indignarci ancora. La mafia ci fa prigionieri in modo inconsapevole. Agisce in modo subdolo. Per questo diventa ancora più pericolosa. Si pensi all’usura, ai commercianti che pagano il pizzo, al gioco d’azzardo, alle sale da gioco, ai videopoker, ai compro-oro.

Bisogna aggredire i loro patrimoni. Bisogna snellire la burocrazia per consentire un più rapido uso dei beni confiscati. Bisogna privarli delle attività borderline nelle quali riciclano proventi illeciti per convertirle e garantire un’occupazione onesta e di qualità. Bisogna avere il coraggio di stravolgere i paradigmi che stanno regolando la nostra esistenza.

Ecco perché ci vuole una reazione popolare. Perché dobbiamo ribellarci prima che sia troppo tardi. Prima che le vie della città siano ancora inondate di sangue.